24 Aprile 2013 in Archeologia, Blog, Notizie, Storia

Scavi Capanne – Le Capanne

Uno scavo archeologico è qualcosa di estremamente snervante. Su tre giorni di lavoro, uno è scavo, uno è pulizia, uno è rilievo. Per un ingegnere siamo fuori da ogni logica ergonomica, economica ed utilitaristica. Ci sono spessori di terreno di pochi centimetri che durano una infinità di tempo. A volte il terreno estratto si passa pure al vaglio alla ricerca di cose appena più grandi di uno spillo.

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Però sono proprio questi strati a raccontarci la storia, e solo questi. Dopo aver tirato fuori una colonna, un muro o una strada ed averla guardata con giusta soddisfazione ci si comincia a chiedere: di che epoca è ? è stata costruita prima o dopo la casa affianco? a cosa serviva? perchè fu abbandonata? La risposta, quasi sempre, è solo negli strati di terreno che la contornavano. Lo studio di questi strati è essenziale. Possono contenere oggetti datanti, oppure i segni dello scavo in cui si inserì a sua volta l’opera ritrovata, o ancora più importati dei piani di frequentazione più o meno lunghi. In genere sono dei battuti meglio costipati che possono conservare altri oggetti abbandonati, persi o gettati intenzionalmente.

In località Capanne lo scavo è prossimo ad una altezza verticale di quasi 8 metri. Dal piano di cemento di via Mameli fino al fondo della vecchia fossa della Chiavica vi sono cumuli di terreni, tutti riportati dall’uomo in vari secoli per creare il terrapieno dell’acropoli fortificata, e ancora conservata, a partire dal IV secolo prima di Cristo ad oggi. Il primo rilevato è il più imponente in quanto strutturò il terrapieno in periodo messapico che fu poi utilizzato dai romani e, dopo un lungo periodo di stasi, dagli angioini e poi dagli aragonesi.

L’obiettivo del progetto in corso, condiviso dall’Università di Lecce e dalla Soprintendenza di Taranto, dopo una prima verifica e conferma dell’esistenza di una porta di accesso alla città messapica, è diventato quello di mettere in luce questo unicum quasi completamente conservato. Questo ci consente di smontare in perfetta sequenza cronologica ogni strato superiore a partire da almeno le fasi di rimaneggiamento romano ad oggi. E all’interno del corridoio di arrivare ai piani arcaici o naturali del terreno.

Gli strati superiori sono storicamente i più importanti per la storia mediaevale di Castro, poco lacunosa e poco documentata. Ma sopratutto poco supportata da reperti e date certe.

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Per chi non ha letto i precedenti articoli, siamo in quella parte dell’acropoli di Castro nota come “la Capanne”, vale a dire case più povere ed arrangiate delle altre il cui uso non ci è ancora noto. Per la verità, ed è lo scopo di questo articolo, dovremmo pure capire perchè tutti i cittadini più anziani di Castro, nati tutti nel centro storico, parlino di queste capanne quando ormai è acclarato che le stesse siano state rimosse da almeno 150-200 anni. Lo spazio, infatti, agli inizi delle campagne di scavi era occupato da terreno agrario a lungo coltivato con tutte le suddette capanne ormai distrutte, anzi perfettamente rasate al suolo.

Cosa ci dicono dunque gli scavi stratigrafici sulla verticale del corridoio/porta che si sta liberando?

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Nella foto ho provato a indicare i vari livelli più importanti.

Al di sotto del contorno di colore giallo c’è la sopravvivenza messapica, così come la spogliarono e/o la riutilizzarono i romani. Probabilmente i romani abbatterono un po di muri, selezionarono i conci migliori per il riutilizzo sporadico in piccole sistemazioni (per esempio un tratto di muro ben allineato quasi al centro dell’area Capanne). In altre parti del centro storico l’attività romana è documentata dal riutilizzo di alcuni tratti murari per addossarci delle stanze o ricavarci delle cisterne d’acqua. In questi strati si ritrova un po di tutto: anche ceramica che va dall’ottavo a quarto secolo a.C., evidentemente in strati riposizionati, pezzi di statue, alcuni decori di un tempio dorico, monili femmili, un anello in pasta vitrea con un calco in negativo per mettere un sigillo in positivo su cera.

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Non c’è ancora certezza assoluta che i reperti architettonici trovati siano sempre quelli di un vecchio tempietto di stile dorico (e la presenza di una struttura del genere, pure sorprendente in ambito messapico, è stata già sufficientemente acclarata negli scavi precedenti) sostituito con un nuovo tempio in epoca romana (repubblicana), vale a dire proprio quello visitato da Virgilio nei suoi viaggi tra l’Italia e la Grecia e che generò il nome di Castrum Minervae.

Tra gli strati di frequentazione romana e la prima ripresa costruttiva (tratto di colore rosso) corrono secoli di inattività almeno in questo tratto esplorato. Siamo in periodo angioino (1300) e probabilmente la traccia delle vecchie fortificazioni si è quasi obliterata tant’è che le superfici vengono occupate da una strada (carraia sotto l’area della foto velata di rosso) e da una serie di vani che insistono in modo trasgressivo con i vecchi filari messapici sottostanti. Un muro sembra delimitare la strada oltre al quale si sono rinvenute tracce di almeno tre vani. Alcuni vani sono in crollo per un incendio e in uno di questi è stato ritrovato un ammasso di chicchi di grano.

Intorno al ‘400 la carraia viene obliterata da riporti e dalla costruzione di nuovi vani (tratto verde) ormai orientati in parallelo all’attuale via Mameli. Di questi vani sopravvivono solo piccoli tratti riutilizzati nelle ricostruzioni successive che via via si posano a quota sempre superiore. Della seconda metà del ‘500 è la fondazione di un vano (linea azzurrina)  che appunto riutilizza parti trasverali di altre strutture e infine strutture del ‘700 (linea magenta) che possono essere quelle che hanno generato il toponimo di Capanne per tutta l’area.

Le ragioni per cui queste strutture siano state distrutte e rasate a un livello tale da poter l’area essere occupata da un discreto strato agricolo non le conosciamo. Esistono alcuni strati cinerosi che possono essere associati a grossi riporti di altre abitazioni bruciate o di incendi in loco ma sono ben al di sotto degli strati cinquecenteschi. La superficie esplorata è ancora piccola per estendere le conclusioni a tutta l’area Capanne, ma le evidenze di una ripresa dell’attività di ricostruzione dal periodo angioino a tutto il settecento è sufficientemente chiara. Della frequentazione bizantina, che pure ha dato origine alla chiesetta ancora sopravvissuta in piazza Vittoria non abbiano trovato tracce ad eccezione forse di una moneta.

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A ricominciare da venerdì prossimo tutti gli strati superiori verranno abbassati ed esaminati fino alla messa in luce delle murature isodomiche di età ellenistica anche sul lato di scirocco del corridoio.

A quel punto sapremo l’esatta architettura della porta e il tipo di accesso (carraio o pedonale) che consentiva.




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