5 Luglio 2012 in Blog, Storia, Territorio, Tradizioni

L’affondamento del sommergibile Pietro Micca

Tra un giorno, un mese e un anno saranno settant’anni esatti dal 29 luglio 1943, giorno in cui al largo di Leuca affondò il Pietro Micca, sommergibile della Marina Italiana. Mancavano poche settimane all’armistizio dell’8 settembre del 1943 e questo fu uno degli ultimi scontri tra inglesi e italiani. Ricordiamo in modo particolare questa tragedia di guerra per la morte del compaesano RIZZO Mario. A cura dell’Associazione Marinai d’Italia – Gruppo Luigi Capraro di Castro, altro sommergibilista morto con l’affondamento dell’unità sottomarina Luigi Settembrini,  sono state raccolte alcune interviste sui fatti di quel luglio del 1943 che, oltre la semplice cronaca dei fatti e del dolore, ci restituiscono uno spaccato di vita quotidiana della comunità castriota in piena guerra mondiale.

Le interviste ad amici, parenti e conoscenti, cercate per la ricerca genealogica in corso sulla popolazione castriota ed in particolare per indagare i legami tra gli abitanti di Castro e il paese di Salve (LE) le propongo su questo blog, oltre che per rinnovare il ricordo del caduto, anche perchè nei tanti racconti emerge la storia di una comunità sconvolta dalla guerra con i giovani al fronte a combattere e i vecchi, i giovanissimi e le donne intende a sopravvivere nella quotidiana arte della pesca.

Antonio RIZZO nasce a Castro il 28.6.1922 in via Gabriele Ciullo, n.6 e allo scoppio della guerra ha appena 18 anni. Col padre Rosario Luigi (1891) e la madre Annunziata De Santis (1895) compongono una famiglia fatta da tre maschi (Antonio, Luigi e Donato) e quattro femmine (Giuditta, Angela, Maria e Pasqualina).

Il padre fa il pescatore e anche Antonio farà per poco tempo quel mestiere. Frequenta la scuola fino alla 4^ elementare e poi come tutti i castrioti maschi di quel periodo si impiega nella pesca. Sono gli anni del boom della marineria ancora coi vecchi battelli a remi, con la vela e tanta fatica. Nel 1941, a 19 anni, fa la visità di leva per la Marina e il 10 giugno del 1942 è arruolato con la qualifica di sommergibilista. Morirà per i fatti raccontati più avanti il 29 luglio dell’anno dopo.

L’unità su cui è imbarcato è il Sommergibile MICCA, primo ed unico esemplare di una classe che non avrà seguito, era un grosso battello oceanico progettato all’inizio degli anni ’30 – quando era già in atto il rinnovamento e il potenziamento della flotta subacquea italiana – per corrispondere ad un disegno piuttosto ambizioso per quell’epoca: realizzare un sommergibile di elevate prestazioni (in termini di velocità, autonomia, armamento, ecc.), che fosse al tempo stesso silurante e posamine.  Il battello riuscì molto bene, pienamente rispondente ai requisiti posti, ma risultò così costoso, a fronte delle sempre modeste risorse finanziarie disponibili, che la Regia Marina dovette rinunciare a riprodurlo e ripiegò su progetti meno impegnativi. Il MICCA era stato costruito presso i cantieri TOSI di Taranto: impostato il 15 ottobre 1931, varato il 31 marzo 1935 e consegnato alla Marina il 1° ottobre dello stesso anno.

Poteva operare a una profondità massima di 100 metri (con coefficiente di sicurezza 3), pesava 1.567 tonnellate  (in superficie) lungo 90,31 metri e largo 7,70 metri. Aveva un motore da 3.000 HP nella navigazione in superficie e 1.500 HP in immersione. La velocità massima era di 15,5 nodi in superficie e 8,5 nodi in immersione. Poteva navigare senza rifornimenti in superficie per 6.400 miglia (a 9 nodi)  che si riducevano a 2.600 miglia con una velocità superiore di 14,5 nodi. In immersione poteva muoversi solo per 60 miglia a 4 nodi e non più di 7 miglia a 8,5 nodi. Era armato con 6 tubi lanciasiluri da 533 mm (4 a prora e 2 a poppa); con 2 cannoni da 120 mm / 45 calibri; 4 mitragliere antiaeree binate da 13,2 mm; 40 mine.

Nella famosa parata navale di Napoli in onore di Hitler (5.5.38), il MICCA alza l’insegna di unità ammiraglia dei sommergibili italiani.

 L’ultima missione del MICCA è del luglio 1943. Al comando del Tenente di Vascello Paolo Scobrogna, è previsto un trasferimento da Taranto a Napoli con la circumnavigazione della Sicilia per evitare lo stretto di Messina, ormai dominato dall’offensiva aerea alleta che cercava di contrastare la ritirata dei tedeschi dall’isola.

La sera del 28 luglio, all’altezza di Capo Spartivento in Calabria, il sommergibile è costretto ad invertire la rotta per tornare a Taranto a causa di avaria. Le condizioni operative del Micca sono compromesse al punto che per l’avvicinamento sottocosta alla base di Taranto è necessaria la scorta di una unità navale di superficie attrezzata per la difesa antisommergibile contro i sottomarini inglesi che nel luglio del ’43 premono sulle coste meridionali come non mai, e a questa funzione viene destinata l’unità  BORMIO. Si decide di far prendere contatto con la costa (atterraggio) al MICCA su S. Maria di Leuca e da qui scortato dal BORMIO fatto rientrare in maggiore sicurezza alla base.

Si dice che il BORMIO arrivò in ritardo all’appuntamento, ma non il sommergibile TROOPER, uno dei battelli inglesi che in quell’estate del ’43 insidiano sempre più dappresso le nostre coste. La caccia degli Alleati è particolarmente mirata proprio sui nostri grossi sommergibili da trasporto: pochi giorni prima lungo le coste calabre sono andati perduti, certamente attesi al varco, i sommergibili REMO (il giorno 15) e ROMOLO (il giorno 18), due battelli nuovi di zecca (al loro primo trasferimento, anch’essi alla volta di Napoli), appositamente progettati anche per il trasporto occulto a grande distanza. Alla luce degli accordi dell’Italia con gli Alleati che verranno resi pubblici due settimane dopo, la caccia sottomarina inglese, più che diretta alla forza navale italiana (che dovrà consegnarsi come da accordi agli Alleati), è diretta contro i tedeschi che potevano utilizzare di forza queste unità di trasporto italiane per trasferire in Giappone i materiali speciali (le cosiddette “armi segrete”) in via di realizzazione a Peenemunde, peraltro ormai scoperta e bombardata.

Così, alle 06.05 del mattino del 29 luglio, nelle acque a sud-ovest del Capo di S. Maria di Leuca, il TROOPER lancia una salva di ben sei siluri, solo uno dei quali colpisce a mezza nave il MICCA, che affonda rapidamente a tre miglia per 207° dal faro. Si salvano soltanto 18 persone, compreso il Com.te Scobrogna, recuperate dalla nave BORMIO, quella destinata a scortare il sommergibile ma giunta troppo tardi all’appuntamento.

Quella mattina il sommergibilista Antonio Rizzo era agonizzante a pochi passi da suo padre Rosario, sceso per coincidenza fino a Salve (LE) per comprare le corde speciali per le reti  (‘zzuche) che realizzavano solo gli artigiani del posto.

Dei fatti dell’affondamento si conservano le testimonianze del comandante sopravvissuto, di un ufficiale, il rapporto ufficiale della Marina Inglese  e di qualche pescatore livichese (di Leuca) tra cui Pietrino Petracca e suo fratello Michele.

La testimonianza ci dice che il MICCA non poteva muoversi in immersione per un guasto alle pompe e che la scorta del BORMIO era comunque appena arrivata. Più tecnico è invece il resoconto dell’ufficiale di guardia in plancia Ezio Cozzaglio, superstite, fatto avere al Gruppo ANMI di Castro tempo fa su sollecitazione del presidente Agostino Schifano, che precisa alcuni punti del rapporto inglese sull’avvenimento.

I superstiti furono soltanto 18, i morti 54. Alcuni morirono affondando con lo scafo ancora sul posto a 85 metri di profondità, alcuni come Antonio Rizzo, probabilmente per l’onda d’urto dell’esplosione essendo in coperta fuori dallo scafo nel momento dello scoppio. Sempre l’ufficiale Cozzaglio ricorda quel momento e aggiunge un ricordo personale del suo subordinato.

L’elenco dei caduti e anche dei superstiti (anche perchè quel giorno non imbarcati) scritto di pugno del secondo ufficiale Ezio Cozzaglio lo riporto in copia tale  e quale a come è stato scritto e corretto nel tempo dall’autore. Sono due fogli di quaderno.

Il primo:

Il secondo foglio:

Prima di passare alla parte più personale dei fatti con le interviste inedite raccolte dall’ANMI di Castro ad alcuni coetanei e familiari di Antonio RIZZO, è da ricordare come il ricordo dei fatti sia ancora presente e tutt’ora onorato e l’interesse per quei fatti non ancora spento. Più missioni di esplorazione sono state condotte fino agli 85 metri di profondità su cui giace il il MICCA tutte riportate con ampio risalto dalla stampa locale e regionale. Tra queste la missione del 2005 a cura della squadra Schwarzy Explorer Team, specialisti di Milano e Lecco, presente anche il salentino Andrea Costantini, che ambiva a penetrare nello scafo per il possibile recupero dei resti dei corpi intrappolati.

La missione dopo tre giorni di prove e preparazione si è conclusa con l’apposizione di una targa all’esterno dello scafo e non risulta che sia stato effettuato l’accesso all’interno del battello.

 LE TESTIMONIANZE SULLA MORTE DI ANTONIO RIZZO

Le scrivo così come sono, con qualche integrazione per il migliore riconoscimento dei luoghi e delle persone citate.

La prima è il ricordo della sorella Angela fatta nel 2004.

LA TESTIMONIANZA della sorella Angela  ( 7-2-2004 )

Mio fratello nacque a Castro il 16 aprile del 1922 e morì il 29 luglio 1943  all’età di 21 anni.

I nostri genitori erano Annunziata De Santis e Rosario Rizzo. La nostra famiglia era formata da undici figli. Antonio era il secondogenito. Da giovane faceva il pescatore e a pesca andava con mio padre e con mio fratello Luigi, finchè non arrivò la chiamata per svolgere il servizio militare a Taranto nel 1942. Dopo Taranto partì per Pola dove fece il corso sommergibilisti.

Suoi compagni sono Dante (Rizzo) e Maestro Vittorio (Capraro). Mio fratello con Dante e Vittorio si trovavano a Pola e per alcuni mesi sono stati uniti. Dopo si sono divisi. Per amico aveva Cici (Luigi Capraro) della Michela (Michela Nicolina Rizzo). Mio fratello dopo Taranto doveva partire per Rodi e venti giorni prima si tolse, non lo so se era catenina o braccialetto e disse a Cici :” Tieni, io devo fare il bagno perché devo partire a Rodi con il sommergibile Pietro Micca e questo glielo dai a mia madre”. Quando è successo il fatto Cici non aveva il coraggio di venire da mia madre a portare la catenina, poi l’hanno mandato a chiamare e quando Cici è venuto piangeva, ma poco tempo dopo anche lui è morto.

Mi ricordo che avevo dieci o undici anni e con mia madre e le mie sorelle mi trovavo “allu corrente” (Punta Currenti) una campagna lungo la litoranea Castro-Tricase. Poiché era il mese di luglio andavamo a prendere l’acqua dalla fontana e la portavamo nella nostra campagna per innaffiare le verdure. Ci trovavamo alla fontana quando scese compare Augusto (Rizzo) il quale ci disse:” Lasciate li “ozzi”  li porto io, voi salitevene a casa perché dovete per forza tornare a casa ”. Così abbiamo lasciato li ozzi vicino alla fontana, ma prima di allontanarci abbiamo detto: “ Ma la nostra sorella Nina sta allu currente!” Augusto ci disse: “ Vado io ad avvertirla”, mentre noi prendemmo la strada per rientrare a casa. Quando siamo arrivate su, per la strada abbiamo incontrato delle persone che dicevano: “ Paredhu dhu carusu, è mortu!“. Noi sentivamo quello che dicevano, ma pensavamo a camminare. Ma appena imboccata la via Gabriele Ciullo che porta a casa nostra, abbiamo visto la strada piena piena di gente; ci siamo sedute su un gradino di una casa. Quando è arrivata nostra sorella Nina con la chiave di casa siamo entrate a casa e vedevamo nostro padre che si era avvicinato al quadro dove c’era la foto di mio fratello Ntunucciu e piangendo diceva: “ Fiju meu! Fiju meu!” Io e le mie sorelle non capivamo nostro padre  a chi si riferiva. Pensavamo che fosse successo qualcosa a nostro padre e con le lacrime gridavamo “Tata meu! Tata meu!” Mia madre ancora non c’era, è dovuto andare compare Adolfo su “Munte Pidhudhi “ a prenderla. Quando arrivò disse: “ Commare Annunziata venìtene a casa perchè compare Rosario non sta bene”. Mia madre prese la via per tornare a  casa con  mia sorella Laura  “cu lu scialabbà”.

Mio padre quando stava sul treno che andava a Salve ha sentito dire: “E’ affondatu u sommergibile Pietru Micca”. Quando mio padre ha sentito che era stato affondato  il sommergibile Pietro Micca voleva buttarsi dal treno, tutti l’hanno dovuto fermare. Mio padre era andato a Salve con mio fratello per prendere le corde per la  “ tartana “. Quando sono ritornati a Spongano hanno trovato compare Melo che li ha portati a Castro  “cu lu thainu “.

Poi è arrivata mia madre. Era notte  e la casa era piena di gente; nel frattempo è arrivato compare Mario de la nunna Marina e tornando a casa aveva detto: “ Marina, non sai che cosa è successo! Oggi è stato affondato il sommergibile Pietro Micca, dove c’era il figlio della commare Annunziata, lu  Ntunucciu; ieu su cucchiatu e l’aggiu vistu, aie dittu sulamente thre parole: mamma! mamma! mamma!. Ieu quannu su rrivatu, no lu canuscia ca era u fiju du cumpare Rusariu?. L’annu piati e l’annu purtati a Lecce “. Poi compare Mario è venuto a casa a portarci la notizia, disse che mio fratello l’avevano portato a Lecce, mai credendo che era morto; ci disse che erano diciotto i feriti. Ormai a casa mia  i miei non potevano muoversi, dovevano aspettare che passasse la notte. Appena fu mattina volevano subito andare a Lecce, partirono a piedi poi qualcuno portò mio padre a Spongano per prendere il treno; mio padre davanti e mia madre di dietro correndo a piedi; poi mia madre lungo la strada incontrò Rizzieri che con la bicicletta disse a mia madre: “Dove vai?“ A Spongano”; “Sali sulla bicicletta che ti accompagno”. Quando mia madre arrivò alla stazione di Spongano il treno stava per partire; i miei genitori fecero appena in tempo a salire sul treno. Mia madre aveva portato una fotografia di Ntunucciu e la gente sul treno altro non parlava che dell’affondamento del sommergibile.

Arrivati a Lecce si diressero a piedi verso l’ospedale civile. Entrati nell’ospedale , cercarono e trovarono la stanza con i feriti. Chi era ferito ad un braccio, chi ad una gamba, chi era coperto col lenzuolo, e mia madre con la fotografia in mano li guardava a uno uno e chiedeva loro : “Questo lo conoscete? “ Tutti abbassavano la testa. C’era anche il comandante e mia madre gli disse: “Questo, Rizzo Antonio, dove si trova? ” E il comandante che non voleva parlare disse: “ Chi ve l’ha detto a voi? Noi non abbiamo segnalato nessuna parte! “Ha detto mia madre: “Si trovava suo padre a pescare! A fare le reti, su Santa Maria di Leuca, e l’avete portati tutti qua all’ospedale! Dove si trova Rizzo Antonio? Ditemelo, io sono la mamma e lo voglio sapere! ”Il comandate rispose: “Allora andate dal cappellano“. Quando mia madre sentì dal cappellano non poteva rimanere nell’ospedale; lì non aveva più niente da fare. Disse a mio padre: “Andiamo alla cappella, perché, se sta alla cappella, si vede che sta male!“. Arrivarono alla cappella e dissero al cappellano: “Hanno portato ieri, moribondi? “.Il cappellano con la testa abbassata non voleva dire né sì, né no. C’erano altre persone, delle infermiere che prima dissero ai miei genitori:  “Sedetevi , sedetevi“ poi gli diedero due bicchieri di acqua fresca e intanto sentivano l’allarme dei bombardamenti. Allora i miei genitori dissero al cappellano:  “Dove si trova? Perché noi lo vogliamo vedere  anche se sta moribondo!“. Il cappellano ha abbassato la testa dicendo: “Ieri sera alle sei è andato in cielo“.Quando mia madre ha saputo che mio fratello era morto e oramai nell’ospedale non aveva più niente da fare, subito disse a mio padre:  “Andiamo al cimitero! Andiamo al cimitero!“.  E si misero a correre e a correre.

Arrivarono al cimitero e trovarono tutto chiuso, ma c’era il custode e mia madre gli disse:“  Ieri sera hanno portato qualcuno qua?“. Il custode: “Sì, sì, quanta gente! Quanti soldati! Quanti fiori! Quante corone!“ “E dove l’hanno portato?“. “Bèh adesso è chiuso si apre alla tale ora”. “No!!!“ disse mia madre “Noi, siamo di Castro Marina e bisogna che ritorniamo, per prendere la vettura, per tornarcene a casa, perché ci aspettano i figli!“. Il custode non voleva farli entrare, ma mia madre lo supplicò dicendo:  “Facci entrare!“ Il custode: “Va bene! Però zitti! Non piangete! Vi apro, entrate, lo vedete e uscite”. Mia madre: “Basta che ci fai entrare, noi staremo zitti!“  Intanto mia madre spiava dai vetri gialli martellati per vedere se c’era il figlio; così quando il custode ha aperto sono entrati e, per terra c’era un lago di acqua scura, perché mio fratello aveva avuto prima un siluro e poi due siluri che l’aveva fatto nero nero nero . “Io lo voglio vedere! Io lo voglio vedere! “ diceva mia madre. “Se è mio figlio o non è mio figlio! Voglio sapere se è lui!.“ E così si misero mia madre a sollevare da una parte e mio padre dall’altra; alla fine mia madre afferrò il coperchio della bara con i denti e così la scoperchiarono. Quando l’hanno visto, non potevano piangere per ordine del custode il quale aveva paura di perdere il posto o di finire carcerato per aver consentito un qualcosa che non si poteva fare. Mia madre ora che aveva visto il figlio tutto nero , bruciato, con i calzettoni bianchi, mutande bianche, sapeva che dietro al collo aveva un neo e lo alzava, lo calava, non riuscì a vedere il neo per quanto era scuro. “E, che segno portiamo a casa, per dire che l’abbiamo visto?“ Mio padre disse: “Adesso vado a vedere se trovo un paio di forbici”. E mia madre : “Dove vai a trovare un paio di forbici? “. “E dove devo andare? “E’ uscito ha guardato giro giro, ha trovato una lametta da barba e l’ha data a mia madre che ha preso un fiocco di capelli e l’ ha tagliato e poi l’hanno chiuso perché dovevano correre a prendere di nuovo il treno. L’hanno chiuso, se ne andarono, ringraziando il custode e così presero il treno.

Noi stavamo vicino alla Peppina della Maddalena che aspettavamo, anche se avevamo una decina di anni non capivamo. Non era come adesso. Dopo abbiamo visto nostra madre arrivare tutta avvolta con lo scialle e mio padre cu  lu nunnu Adolfu che tornavano dalla stazione di Spongano. Poi hanno preso un nastrino celeste e hanno legato il mazzetto di capelli. All’indomani chiamarono alcuni bambini: Angiolino, nostro cugino, Uccio de la nunna Albina e altri che adesso non ricordo. Angiolino aveva un vassoio con sopra il vestiario  militare di mio fratello e con il cappello di nocchiere con la scritta “Rizzo Antonio sommergibile Pietro Micca “ . Si girò la processione e si disse la Messa e basta, dopo ci chiudemmo in casa.

Dopo nove mesi che mia madre andava e veniva da Lecce, si fece tutta la documentazione per far ritornare mio fratello nel cimitero di Castro. In quella occasione si fecero i funerali con tutti gli onori: di nuovo vennero chiamati i bambini che portavano dei vassoi con cose appartenute a mio fratello e con le corone di fiori tutte fatte di fiori di biancospino; mia madre tutta la notte lavorò per fare le corone. Mio fratello arrivò a Castro con un carro che si fermò vicino al cimitero e i militari lo presero sulle spalle e con la processione arrivò in piazza, alla porta terra, dove Don Totò Miggiano lesse un discorso, sopra la casa di mescia Linda. Parteciparono molti militari, marinai, soldati polacchi che si trovavano al porto di Castro, tutti salirono. Poi il corteo proseguì e don Mario Lazzari  lesse un altro discorso sul balcone della casa du nunnu Angiolino Ciriolo e poi si celebrò il funerale. Finito il funerale mio fratello venne portato al cimitero e poi ognuno per conto suo.

Noi sappiamo queste cose e le teniamo a memoria di quello che successe quando io avevo undici anni poi mia madre le teneva scritte e le leggevamo sempre.

Il 29 luglio del 2003 hanno voluto ricordare i caduti del Micca. Mia sorella Maria ci ha pagato il viaggio per andare a Santa Maria di Leuca in occasione della grande festa di commemorazione. C’erano tutte le autorità civili e militari.

 

 

LA TESTIMONIANZA di Angelo Rizzo cugino  ( 7-2-2004 )

Successe a un miglio da Punta Ristola a Santa Maria di Leuca

Quando successe il fatto era il 29 luglio ed erano le ore sedici. Quando i feriti li hanno portati con l’ambulanza passando dalla litoranea. Noi eravamo al giardino de lu corrente e di lì è passata e nessuno sapeva niente, nemmeno noi di quello che era successo. Poi si è sparsa la voce del fatto accaduto.

 

LA TESTIMONIANZA di  Rizzo  Maria  cugina  ( 7-2-2004 )

Quando dalla litoranea Tricase – Castro Marina passò l’ambulanza con la sirena aperta che tutti sentirono e che portava i feriti, io mi trovavo dalla Teresina in via Gabriele Ciullo e di lì passò zio Rosario disse alla Teresina:”Adesso torno e da dove vengo ho sentito nominare un certo Rizzo, ma non lo so se si tratta di  mio figlio o del tuo “. Lasciò cadere per terra i “capi della tartana” che per comprarli era andato a Salve con il treno e, nel treno durante il ritorno,  aveva sentito parlare di feriti, tra  i quali di un certo Rizzo.

 

 

LA TESTIMONIANZA della sorella Maria   ( 7-2-2004 )

Mio fratello Ntunucciu ci aveva mandato una lettera o cartolina il 26 luglio e le sue parole erano “…mamma io sto bene. Da Pola partiamo per Rodi”. Poi nel mare di S.M. di Leuca il sommergibile è stato affondato dagli inglesi…

La mattina presto del 29 luglio mio padre disse a mia madre: “Nunziata, ieu e lu Cici partimu mprìmu cu sciamu a Sarve pe li capi de la tartana”, al ritorno cu lu cumpare Adolfu vinimu e te pijamo de su munte pidhuddhi”.

Verso le sei di pomeriggio del 29 luglio io e le mie sorelle e mio fratello Donato  stavamo in campagna, dove oggi c’è il ristorante la Roccia, noi là avevamo la campagna “li currenti”, a innaffiare melanzane, peperoni quando passò un’ambulanza che era diretta a Lecce , invece passò di lì per sbaglio e quindi, dovette tornare indietro. Noi tornavamo dalla fontana con le  “capase “ piene d’acqua quando in lontananza verso Santa Maria di Leuca vedevamo un fumo. “Chi poteva pensare che in mezzo a quel fumo si trovasse mio fratello? “. Mia sorella si doveva sposare nel mese di agosto. Poi scese compare Augusto, il quale era marinaro nostro perchè andava a mare a pescare con mio padre e con mio fratello ed era venuto dove stavamo noi a dirci di andare a casa. Presi per mano mio fratello Donato e con mia sorella prendemmo la strada per salircene. Arrivai allu “testu “ e trovai u Totu du Pascalinu u Sciummi e dissi : “ Totu, ma che c’è a casa mia? “  U Totu mi disse: Comu ca tie no ssai nenzi? E’mortu fraita Ntunucciu!” Io non capivo che cosa significava “mortu”. Io me ne venni dalla via della Muraglia per arrivare prima, non della via delle cifre, tutti correvamo e quando siamo arrivate all’angolo della casa della Lauretta la strada che porta a casa mia era per la sua larghezza tutta piena di gente noi non potevamo passare. Quando siamo arrivate a casa piangevamo per nostra madre, dicevamo : “ Mamma mia! Mamma mia!”, pensavamo che fosse successo qualche cosa di brutto a nostra madre; mi ricordo che ci hanno fatte sedere mentre la gente entrava ed usciva di casa. Mia madre si trovava su “ Munte Pidhuddhi “, andò u nunnu Adolfu e disse a mia madre: Commare, compare Rosario non viene più di qua, ti accompagno io a casa “. E mia madre:” E perché non viene? “ “Non viene perché non si sente bene!” Così mia madre salì  sullu “thainu “. I miei genitori erano rimasti d’accordo di ritrovarsi su Munte Pidhudhi, al ritorno di mio padre da Salve. Mia madre per la via pensava  che forse era morto mio padre perché lei ancora non sapeva il fatto del sommergibile, ma quando entrò a casa e vide mio padre che era davanti alla statua di S. Antonio e che piangeva dicendo: “ S Antoni! S. Antoni! “poi ha capito e così mio padre in lacrime e disperato dovette dire a mia madre che il sommergibile Pietro Micca era stato affondato. Ma ancora non sapevano se mio fratello era morto o era ancora vivo. Per tutta la notte la nostra strada e la nostra casa erano piene di gente. Poi quando è arrivato un certo orario della mattina presto rientrava  u nunnu Mariu de la nunna Marina che era militare,richiamato a Lecce e alla nunna Marina disse: “ Ohimè Marina mia  che cosa è successo! Non sai che il sommergibile Pietro Micca  è affondato, forse c’è pure  il figlio di compare Rosario  u Ntunucciu che ancora è vivo”. La nunna Marina disse allu nunnu Mariu : “ Vai a dirlo a compare Rosario che ha  la casa piena di gente! “  E a noi u nunnu Mario ci disse:” U Ntunucciu l’hanno portato a Lecce, all’ospedale civile, assieme ad altri feriti, io l’ho visto che era vivo “. Mio padre saputo che mio fratello era vivo voleva partire per Lecce. Qualcuno accompagnò mio padre con la bicicletta per prendere il treno. Mia madre voleva andare pure lei , si tolse le scarpe, uscì di casa correndo verso la via di Spongano e la nunna Maria de la zi Mmaculata di dietro che la chiamava: “ Zi Nunziata tornetene! Zi Nunziata spetteme! “ No! “ diceva mia madre “ Devo andare a vedere il figlio mio!” E correva sulla strada per Diso come una vipera e la nunna Maria quando ha visto che non riusciva più a raggiungerla se ne tornò e ci disse: “ Non sono riuscita a frenarla!”. A Diso incontrò Rizzieri che tornava dalla  “ijàtica “ con la bicicletta , “  Nunziata, dove vai?”  “ Devo andare a prendere il treno! “ “ Ma a piedi non  arriverai in tempo! “ “ Devo andare! Devo andare! “  “ E allora sali sulla bicicletta”. Pedala e pedala arrivarono a Spongano e mia madre fece appena in tempo a salire sul treno, e intanto il treno fischiava perché era pronto per partire. Sul treno mia madre piangendo cercò mio padre e si sedette vicino. Erano come due rondinelli che con coraggio erano partiti da Castro per cercare di vedere il figlio ancora vivo e nella loro corsa verso l’ospedale e dall’ospedale al cappellano e dal cappellano al cimitero di Lecce, nessuno riusciva a fermarli… Anche se sono passati molti anni dalla sua morte, non c’è un momento che io non  pensi a lui.

 

 

 

LA TESTIMONIANZA di  Capraro Vittorio ( Mesciu Vittorio ) paesano e amico  ( 11-2-2004 )

Son partito a vent’anni per andare a fare il militare di leva nell’esercito a Brindisi. Dopo il giuramento mi destinarono a Venezia. Mi trovavo a Venezia, quando scoppiò la guerra. Stetti ammalato; mi mandarono in convalescenza per sei mesi. Dopo la convalescenza, rientrai a Pola e lì  presi servizio, quello che mi venne assegnato. Facevo la guardia nelle garitte alla polveriera di Vallelunga. A Pola c’erano Dante, Biagio Schifano e u Ntunucciu. Quando io ero libero telefonavo a loro per avvisarli che io potevo uscire e, se pure loro erano liberi, si andava a passare la serata insieme, presso qualche trattoria, dove mangiavamo qualcosa. Dopo i mesi passati insieme, u Ntunucciu partì per Rodi con il sommergibile Pietro Micca, mentre io rimasi a terra presso un cantiere di falegnameria. L’ultima volta che vidi u Ntunucciu fu quando uscimmo di nuovo insieme, lui io, Biagio e Dante ed era in primavera. Ricordo che era un tipo riservato. Prima del militare lui faceva il pescatore ed io il falegname. Non lo so se lui aveva frequentato le scuole. A Castro c’era fino alla quarta. Per frequentare la quinta dovevamo andare a Diso. Quando ci fu l’armistizio e i tedeschi entrarono ed occuparono Pola, fui preso prigioniero. Stetti poco tempo a Pola perché dopo i tedeschi ci portarono in Germania, a Zighenain,  un campo di concentramento. Poi di là ci trasferirono e ci dettero un posto di lavoro; chi venne destinato ai lavori nei campi, chi nei magazzini. Io mi ritrovai in un’officina meccanica, dove svolgevo il lavoro di tornitore da Zighenain a Korbach, provincia di Kassel. Da prigioniero ognuno faceva il lavoro suo; da mangiare quello che c’era, c’era per tutti; i maiali forse mangiavano meglio di noi. Quando poi tutta la Germania venne occupata perché entrarono gli americani, noi ormai eravamo sotto il dominio americano; i tedeschi non contavano più niente. Ad un certo momento io mi resi conto che i treni camminavano: salivano e scendevano perché la stazione stava a poca distanza da dove mi trovavo e decisi di prendere subito il treno e di entrare in Italia, senza aspettare che qualcuno mi dicesse: “Vai!”. Sono stato prigioniero per due anni. Anche Biagio riuscì a rientrare in Italia perché si diede disertore.

 

LA TESTIMONIANZA di Aldo Fersini  paesano e amico  ( 14-2-2004 )

Antonio Rizzo nell’ anno 1943 era imbarcato sul sommergibile Pietro Micca, un sommergibile che faceva la guardia costiera nell’Adriatico contro i sommergibili inglesi che pure operavano sotto le coste italiane. Allora nel ’43 stava rientrando a Taranto passando dalla punta di Leuca, capo Leuca, quando un sommergibile inglese lo silurò e il Micca affondò,  a un tre chilometri dalla costa dal capo di Leuca. Nel siluramento e durante l’esplosione, si vede che si trovava in coperta Rizzo Antonio e lo sbandò in mare, però sbandandolo in mare, già era quasi morto, ma fu ricuperato il corpo. Il corpo di Antonio fu recuperato dai pescatori, perché era vicino alla costa e mandato subito a Lecce presso un Pronto Soccorso. Suo padre appena seppe la notizia dell’affondamento del sommergibile, subito si recò per vedere il figlio. Però per quanto poi ho saputo che è morto durante il percorso da Leuca a Lecce. Adesso vi leggo le operazioni che ha fatto il sommergibile Pietro Micca durante la guerra ’40 -’43. Il 5 Maggio 1928 in occasione della rivista navale in onore di Hitler a Napoli, il Micca alzò l’insegna di unità ammiraglia dei sommergibili italiani. Allo scoppio della guerra il Micca venne impiegato come posamine e nel Giugno e Agosto 1940 effettuò due sbarramenti presso Alessandria in Egitto. Il primo sbarramento di quaranta mine venne effettuato il 12 Giugno al comando del capitano di fregata Meneghin, mentre il secondo venne effettuato durante la notte del 12 Agosto anch’esso con quaranta mine dal comando del capitano di fregata Ginocchio; il 14 dello stesso mese ha visto una sezione di cacciatorpediniere britannici in ricerca antisomala. Il Micca si portò a circa duecento metri e lanciò un siluro con i tubi poppieri contro un cacciatorpediniere. Dopo quaranta secondi venne udita una violenta esplosione. Successivamente venne destinato al trasporto di materiali. Il 13 marzo 1941 al comando del capitano di corvetta D’Alterio, durante una missione di trasporto materiali, poco dopo aver oltrepassato lo stretto di Cerigotto avvistò una formazione di cacciatorpediniere avversaria. Portatosi all’attacco lanciò i siluri ma senza esito. Durante una successiva missione di trasporto materiali a Lero, iniziata il 30 marzo 1941, giunto a sud di Creta avvistò un convoglio nemico scortato da un incrociatore leggero.  Giunto a mille cinquecento metri dal convoglio del Micca al comando del capitano di corvetta D’Alterio, lanciò due siluri e si disimpegnò ( si dette alla fuga ) in quota. Dopo il regolare tempo di corsa dei siluri  vennero udite  due esplosioni violente; non è stato possibile accertare l’esito dell’attacco. Arrivata in prossimità di Lero ( isole di Rodi, Cefalonia, tra la Turchia e le zone del Medio Oriente, Libano, Israele…) era il 5 Aprile e venne udita una prima esplosione a estrema poppa . Probabilmente l’esplosione era dovuta ad un siluro del Micca stesso che era pronto al lancio ed era fuoriuscito da un tubo poppiero. Dopo aver riparato sommariamente i timoni poppieri, fece rientro nel mese di Giugno a Taranto per il ripristino completo dell’efficienza.  Successivamente venne ancora impiegato per il trasporto di materiali:durante queste missioni venne attaccato per due volte da aerei nemici senza tuttavia subire danni. Il 29 luglio 1943, mentre era all’altezza di S. Maria di Leuca in superficie, al comando del tenente di Vascello Scrobogna, fu attaccato dal sommergibile britannico Trooper che gli lanciò contro una salva di sei siluri. Colpito da un siluro il Micca affondò rapidamente: ci furono solamente diciotto superstiti di cui Antonio Rizzo. Complessivamente il Micca aveva compiuto quattordici missioni di trasporto portando 2163,4 tonnellate di materiale. Fino al suo siluramento, il sommergibile aveva effettuato ventiquattro missioni di guerra percorrendo 23.140 miglia e qui si chiude la storia del Micca. (Da i “ Sommergibili Italiani fra le 2 guerre mondiali di Alessandro Turrini).

Noi eravamo amici per la pelle; allora Castro non era come Castro di oggi .Allora noi giovani ci trovavamo la sera e si camminava avanti e indietro durante la sera tardi, quindi ognuno cercava di trovarsi la ragazza, si sa quando si è giovani. Tutta la sera ci si raccontava: “ A me piace quella, a me quell’altra…” cose di giovani. Siccome lui era più grande un anno di me, allora lui è partito prima, mentre io son partito un anno dopo; lui è partito nel  “42 e quando fu a Pola, prima che venisse destinato a imbarco sui sommergibili, doveva sostenere un corso di sei mesi  e siccome a Pola ( Fiume, Zara…) c’era la base dei sommergibili. Dopo il corso venne imbarcato sul sommergibile Pietro Micca. Poi nel ’43 son partito pure io e ci siamo incontrati io da civile e lui da militare perché venne in licenza nel ’43 verso il mese di marzo o aprile e ci siamo ritrovati . Poi nel luglio io son partito, mi mandarono alla Spezia direttamente e quindi ci siamo perduti di vista. Allora il 5-6-7 Agosto io ero imbarcato sulla corazzata Littorio a La Spezia e con me c’era Rosario Schifano, fratello di Luca, stavamo imbarcati tutti e due sulla stessa nave. E la mattina del 6-7 Agosto di mattina vedo arrivare Armando Antonelli, marito della Bruna che poi da militari io su una nave lui sull’altra, una volta vieni tu a trovarmi una volta vengo io  si usava quando si è paesani per restare sempre in collegamento anche di notizie del paese. Allora venne Armando Antonelli che che era imbarcato sulla corazzata Vittorio Veneto nella mattinata e dice: “ Aldo, sai che è successo una disgrazia a Castro? “.  “ Che cosa è successo? “ Ha detto: “ Hanno affondato il sommergibile dove c’era imbarcato u Ntunucciu du Rusario cane “ così era il soprannome “ Però l’hanno recuperato, ma è morto durante il trasporto all’ospedale”. Ed è finita così. Lui stava in un versante in quello Adriatico, io stavo nel Ligure alla Spezia, la base navale per me era La Spezia, quindi da imbarcati non ci siamo mai visti.

 

 

La TESTIMONIANZA di Augusto Rizzo  vicino di casa  ( 23-2-2004 )

Antonio e mio fratello Dante vengono chiamati per servire la Patria il 16 maggio del ’42. Finito il reclutamento, vanno destinati a Pola, dove sono stati per sei mesi assieme, per fare il corso sommergibilisti. Venuti a casa e finita la licenza, vengono divisi, mio fratello va sul sommergibile Bragadino e lui va sul Pietro Micca. Antonio dopo i sei mesi era imbarcato sul Micca che parte da Taranto il 24 luglio del ’43 diretto a Napoli, ma costretto a rientrare per avaria. Alle ore 6,30 del mattino del 29 luglio al largo di S. Maria di Leuca, viene silurato e affondato da un sommergibile britannico Trooper con 18 superstiti su 70. Il salvataggio si fece con alcune barche. Io andavo a mare con compare Rosario. La mattina del 29, Rosario era andato a Salve per prendere le “ zùche “ ( corde che servono per calare e tirare la tartana ) e a me disse: “ Tie poi scinni e vai alli capuzzedhi e pìj a varca, ne scinni i capi de sulla varca, pìj quìri chiù sani, li giusti e li minti, ca quànnu turnamu nùi li giustamu ttòrna pe la tartana “ Io nel pomeriggio, sono sceso e sono andato nella zona sopra l’avvocato Rizzo perché loro là vicino tenevano un terreno. C’erano “ cippuni de vigna; era cumparuta l’ua e ieu cuminciai a spinnare quarche acinu de ua “. Verso le 4 e mezza del pomeriggio, non  mi ricordo chi era sceso con Angiolino, sono venuti a darmi la notizia: “ Pìa a varca e portala allu portu ca u Rusariu non ci vene percè u fiju dice ca staje a Lecce. “ Io andai, presi la barca e la portai nel porto. I superstiti, quando sono stati presi dai Levichesi, sono stati portati a Lecce. Poi Rosario e il figlio scesero a Spongano, se ne son venuti con la notizia che è stato affondato Pietro Micca e che il figlio suo stava a Lecce. Hanno lasciato tutto e sono andati di corsa a Lecce; si era spezzata la spina dorsale. Ed è finita lì, questa è la storia che ricordo.

 

LA TESTIMONIANZA di Lucia Schifano du Patucciu vicina di casa  ( 12-4-2004 )

…Rosario venne a casa e… abbiamo sentito piangere… gridare…veniva da Salve, aveva comprati i “capi” per la “tartana”. Al ritorno, sul treno, una persona leggeva il giornale e disse:” Uuuh! A Leviche! Paru paru a quai de nui!”. Pietro Micca si chiamava il sommergibile. A mamma da Nunziata Ciullo ( ca abita alla via SS.Annunziata, vicinu a mesciu Ppinu) de u Vitu Peppe Duminnicu cunzava riti a nui, e stava a casa mia. Tuttu de paru  purtamme a casa li riti, quannu imu vistu ca rriva lu Rusariu, ma lu Rusariu li prese e li buttò sulla via del nostro giardino, c’è un viottolo da dove si entra nel giardino di Rizzieri, e quando entrò a casa, mise scumpìu: fuscia de na vanna e poi fuscia de l’autha. Poi hanno chiamatu u Rizieri perché li portasse a Spongano. Rosario e Annunziata volevano prendere il treno. Presero il treno e arrivarono a Lecce. Al cimitero non li volevano farli entrare ma  convinsero il custode, poi con i denti… e videro il figlio. Lo seppellirono là. Stette un anno sepolto a Lecce dopo lo portarono a casa con la processione. C’era bedhu dhu fiju, Ntunucciu se chiamava!.





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