26 Aprile 2007 - Il Tempio di Minerva - L'annuncio ufficiale

Il Prof Francesco D'Andria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell'Univesità di Lecce, conferma l'importanza storica delle scoperte e rilancia sul maggiore quotidiano nazionale LaRepubblica la certezza della presenza sul promontorio di Castro di un importante tempio dedicato a Minerva. Lo stesso tempio ricordato da Virgilio nell'Eneide in cui Enea, appena sbarcato in Italia, offre sacrifici.

***************

Qui scarichi la pagina di LaRepubblica in formato jpeg in risoluzione 300dpi

*******************

IL TESTO DELL'ARTICOLO

Castrum, ecco il porto che accolse Enea

Gli archeologi: nel Salente il tempb di Minerva descrìtto da Virgilio

di CINZIA DAL MASO

ROMA — Lì approdò Enea. Lì mise finalmente piede in terra d'Italia. La terra promessa, L '”antica madre" come gli aveva predetto l'oracolo di Apollo. E per la prima volta dopo tanto vagare, si sentì a casa. Accadde a Castro, cittadina sulla costa adriatica del Salento, come di mostrano le ultime scoperte degli archeologi dell'Università di Lecce.

Perché Virgilio racconta che Enea, già prima di attraccare, aveva scorto da lontano il porto e "sulla rocca il tempio di Minerva". E secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso (e poi tutti i commentatori di Virgilio), Enea sbarcò in una località chiamata Castrum Mi nervae. Dunque il nome di Minerva ritorna, insistente. E a Castro, nei giorni scorsi, è venuto alla luce proprio il suo tempio. «Non ci sono dubbi», dice Francesco d'Andria direttore della Scuola di specializzazione in archeologia dell'Università. «Abbiamo trovato frammenti di una statua di divinità femminile, e molte armi in ferro a lei offerte. In quel tempio si venerava una dea guerriera. Si venerava Minerva».

Finora Castro era solo uno dei candidati del famoso sbarco, assieme a Porto Badisco e ad altre insenature affacciate sul canale d'Otranto. L'eroe Enea in fuga da Troia aveva sostato nell'isola greca di Delo (sede del l'oracolo di Apollo) e poi a Butrinto in Epiro, città oggi sulla costa dell' Albania al confine con la Grecia. Da lì la prima tappa in Italia non poteva essere che il Salento. Una tra versata che i marinai delle due sponde fanno da sempre, fino agli scafisti albanesi di pochi anni fa.

Virgilio parla di un alta rocca addentrata rispetto alla riva del mare. E infatti Castro domina da lontano e dall'alto il proprio porto (Castro Marina) e il mare. Ora è protetta da mura possenti costruite dagli Aragonesi dopo l'assedio turco di Otranto del 1480. Ma sotto di quelle gli archeologi stanno portando alla luce mura molto più antiche, costruite tra il IV e il III secolo a.C. dai Messapi, gli antichi abitanti del Salento. Mura fatte di blocchi di pietra lunghi più di un metro, e intervallate da torrioni, cremagliere, porte, postierle che terrazzavano tutta la collina fino al mare.

Già all'epoca di Virgilio, dunque, Castro era una fortezza. Era, per l'appunto, "castrum". Si è trovata anche la porta d'ingresso principale per chi giungeva dal porto. E sopra il bastione che la proteggeva, sono venute alla luce le fondazioni del tempio. Purtroppo buona parte delle sue pietre è stata riutilizzata dagli Aragonesi per le nuove mura. Però è rimasta parte della decorazione del frontone. E si sono trovati vasetti in miniatura e le tipiche coppette usate per le libagioni rituali. E, tra i doni alla dea, monete d'argento, vasi di marmo delle isole Cicladi, statuette in bronzo di offerenti e ovviamente le armi, punte di freccia e di giavellotto in ferro. Era sicuramente un santuario molto importante, se Virgilio ha scelto di citarlo nel suo poema. «Forse la sua fama giunse a Roma con Quinto Ennio, il famoso poeta salentino del III secolo a.C.», ipotizza D'Andria. «Fu il fondatore della poesia epica latina, nei suoi Annali celebrò la storia di Roma dalle sue origini, e sappiamo che Virgilio si ispirò a lui. Probabilmente in modo molto più ampio di quanto sospettiamo».

Insomma, oramai è certo: l'odierna Castro è l'antica Castrum Minervae. Ha le mura, una vera fortezza, e ha il tempio della dea. E già il sindaco sta meditando di cambiare il nome alla cittadina. Presto riavrà il suo nome antico.

da LA REPUBBLICA del 26 aprile 2007 - Cronaca Nazionale - Pagina 37

 

 

Aeneis

Liber III

Publius Vergilius Maro

Eneide

Libro terzo

Publio Virgilio Marone

 

Iamque rubescebat stellis Aurora fugatis

cum procul obscuros collis humilemque uidemus

Italiam. Italiam primus conclamat Achates,

Italiam laeto socii clamore salutant.

tum pater Anchises magnum cratera corona

induit impleuitque mero, diuosque uocauit

stans celsa in puppi:

'di maris et terrae tempestatumque potentes,

ferte uiam uento facilem et spirate secundi.'

crebrescunt optatae aurae portusque patescit

iam propior, templumque apparet in arce Mineruae;

uela legunt socii et proras ad litora torquent.

portus ab euroo fluctu curuatus in arcum,

obiectae salsa spumant aspergine cautes,

ipse latet: gemino demittunt bracchia muro

turriti scopuli refugitque ab litore templum.

quattuor hic, primum omen, equos in gramine uidi

tondentis campum late, candore niuali.

et pater Anchises 'bellum, o terra hospita, portas:

bello armantur equi, bellum haec armenta minantur.

sed tamen idem olim curru succedere sueti

quadripedes et frena iugo concordia ferre:

spes et pacis' ait. tum numina sancta precamur

Palladis armisonae, quae prima accepit ouantis,

et capita ante aras Phrygio uelamur amictu,

praeceptisque Heleni, dederat quae maxima, rite

Iunoni Argiuae iussos adolemus honores.

Haud mora, continuo perfectis ordine uotis

cornua uelatarum obuertimus antemnarum,

Graiugenumque domos suspectaque linquimus arua.

 

Avea l'Aurora già vermiglia e rancia
scolorite le stelle, allor che lunge

scoprimmo, e non ben chiari, i monti in prima,
       
poscia i liti d'Italia. - Italia! - Acate

gridò primieramente. - Italia! Italia! -

da ciascun legno ritornando allegri

tutti la salutammo. Allora Anchise

con una inghirlandata e piena tazza
       
in su la poppa alteramente assiso:

"O del pelago - disse - e de la terra,

e de le tempeste numi possenti,

spirate aure seconde, e vèr l'Ausonia

de' nostri legni agevolate il corso".        

Rinforzaronsi i vènti; apparve il porto

piú da vicino; apparve al monte in cima

di Pallade il delúbro. Allor le vele

calammo, e con le prore a terra demmo.

È di vèr l'Orïente un curvo seno
       
in guisa d'arco, a cui di corda in vece

sta d'un lungo macigno un dorso avanti,

ove spumoso il mar percuote e frange.

Ne' suoi corni ha due scogli, anzi due torri,

che con due braccia il mar dentro accogliendo,        
lo fa porto e l'asconde; e sovra al porto

lunge dal lito è 'l tempio. Ivi smontati,

quattro destrier vie piú che neve bianchi,

che pascevano il campo, al primo incontro

per nostro augurio avemmo. "Oh! - disse Anchise, -
guerra ne si minaccia; a guerra additti
sono i cavalli; o pur sono anco al carro

talvolta aggiunti, e van del pari a giogo:

guerra fia dunque in prima, e pace dopo".

Quinci devoti venerammo il nume
       
de l'armigera Palla, a cui gioiosi

prima il corso indrizzammo. In su la riva

altari ergemmo; e noi d'intorno, come

Eleno ci ammoní, le teste avvolte

di frigio ammanto, a la gran Giuno argiva
       
preghiere e doni e sacrifici offrimmo.

Poiché solennemente i prieghi e i vóti

furon compiti, al mar ne radducemmo
immantinente; e rivolgendo i corni
de le velate antenne, il greco ospizio
    
e 'l sospetto paese abbandonammo.
Traduzione dal latino di Annibal Caro