ritagli ignoti

Roca, covo di pirati, distrutta da Carlo V

Il fantasma della barbarie turca e l'antico centro raso al suolo per ordine dell'imperatore

di Daniele PALMA

E' da circa un secolo che, nel Salento, studiosi e appassionati di studi storici non credono più alla Befana. E che, ad esempio, ritengono alquanto improbabile che il rito greco in Terra d'Otranto si sia estinto in modo violento oppure dubitano fortemente che Roca sia stata distrutta dai Turchi nel corso della guerra otrantina del 1480-81. Questi convincimenti si sono ormai largamente diffusi, raggiungendo anche chi si accosta solo occasionalmente a tali questioni.

Eppure, di tanto in tanto, si avverte l'esigenza di qualche puntualizzazione in merito. Come risulta dai dispacci di Nicolo Sadoleto, rappresentante del duca di Ferrara presso la corte napoletana, nell'agosto del 1480 Roca fu occupata dai Turchi un paio di volte, ma solo per pochi giorni. La stessa Roca fu, poi, definitivamente abbandonata o riconquistata dagli Aragonesi. In un'altra occasione, ho paragonato il destino di Roca a quello di Tobruk intorno alla quale, durante la seconda guerra mondiale, si spostava di continuo la linea del fronte in Nord-Africa. Nel settembre del 1480, appena un mese dopo la breve occupazione ottomana, il duca di Calabria Alfonso d'Aragona, vale a dire l'erede al trono di Napoli, faceva accampare il suo esercito nei pressi di Roca. Un suo collaboratore, Alessandro Pagnano, scriveva una lettera proprio da quel castello che appariva incendiato, ma non distrutto.

Questa testimonianza smentisce quanto appare nel "De situ lapygiae" del Galateo, il quale, scrivendo, a dire il vero, una trentina di anni dopo, afferma che Roca era stata quasi rasa al suolo dai turchi. D'altra parte, Giovanni Albino, segretario di Alfonso d'Aragona, riferisce che il duca - dopo aver fatto presidiare tutti i luoghi strategici e i castelli della costa sulla costa - nell'autunno era stato costretto ad alloggiare sotto i tetti di Roca. I turchi, quindi, non avevano distrutto né le case, né il castello. Durante quel conflitto, per contro, tutte le strutture difensive di Roca furono ammodernate e potenziate per resistere meglio alle nuove macchine belliche.

La cittadella di Roca era ancora integra nel 1528, tanto è vero che vi si rifugiò il nobile salentino Gabriello Barone, il quale si era schierato con i francesi e, pertanto, era inseguito dalle truppe imperiali di Carlo V; in quanto alle case, basti dire che, nel 1520, la popolazione rocana risultava molto più numerosa che nel 1447 e, probabilmente, anche rispetto al 1480, l'anno-chiave della conquista turca di Otranto.

Ormai è opinione comune tra gli studiosi che Roca sia stata distrutta nel 1544 da Ferrante Loffredo, governatore della provincia di Terra d'Otranto, in nome è per conto di Carlo V, perché castello e abitazioni erano divenuti il covo e la base operativa di pirati turchi o barbareschi. D'altronde, il sistema difensivo basato sulle torri di avvistamento - che si stavano costruendo a intervalli regolari a integrazione di quelle più antiche - era ritenuto abbastanza efficace e poco dispendioso, richiedendo solo un paio di soldati invalidi ogni due o tre chilometri.

Ma anche la notizia della distruzione di Roca per opera degli Spagnoli deve essere valutata cum grano salis: prima di tutto occorre tener presente che chi l'ha tramandata, cioè il Marciano, non è una fonte accuratissima. Il Marciano, infatti, indica come regnante in quel tempo Filippo II, il quale, invece, come indicano le fonti, succedette al padre soltanto una dozzina di anni dopo. In secondo luogo, il "filosofo e medico Girolamo Marciano di Leverano", per essere precisi, scrive che il porto di Roca "fu assieme colla terra l'anno 1544 soffogato e distrutto". Con il termine terra si indicava il paese; sembra di capire che, con i detriti provenienti da case e strutture portuali, fu colmato il bacino. I demolitori, in pratica, potrebbero aver effettuato il classico "viaggio e due servizi": demolivano le case sul lato del porto e buttavano i conci in mare, per soffocare il medesimo approdo e renderlo pressoché impraticabile. Se il porto di Roca era ubicato nell'insenatura di fronte all'odierna chiesetta, ad esso, in effetti, erano adiacenti le case, e non il castello di cui, come si vede tuttora, sono rimaste in piedi molte strutture murarie.

Tutto questo, e molto altro ancora, è il risultato di alcune ricerche che hanno portato alla ricostruzione della "tragedia di Roca" che ha preso forma nel recente volume da me curato e intitolato "Alba di luna sul mare". A questo testo - che cerca anche di ridimensionare la leggenda sul presunto "tradimento" perpetrato attraverso la grotta della Poesia - ha attinto in modo significativo anche Anna Rita Greco nella stesura dell'opera "Su antichi passi", rappresentata recentemente nel teatro parrocchiale di Melendugno.


..... altre pagine di contributi